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Concept

“L’eterno in divenire” è il titolo della mostra personale di Roberto Rocchi a cura di Paolo Asti e testo critico di Angelo Crespi.

ADI Design Museum ospita 14 sculture dell’artista che vive e lavora tra Massa Carrara e Milano. Le opere esposte sono il frutto di un’intensa ricerca compiuta dall’artista negli ultimi dieci anni e alcune di esse appositamente realizzate per la mostra come quella che ne da il titolo “L’eterno in divenire”.

“Per Rocchi il marmo, ridotto a foglio, assume il sapore del tessuto in cui, grazie all’uso sapiente della luce, crea la sua tavolozza di colori, dando così contemporaneità a quell’essere, fatto di luce che, ancora una volta, nel divenire, ci conduce all’eterno. L’opera «Materia», in cui lo scultore toscano intreccia abilmente marmo, resina e led, arde dell’anima del suo essere, la luce, dissolvendosi davanti alla pietra, ci rammenta l’illusione del vivere e il monito, a cui ci richiama Emanuele Severino, che «solo la pura luce dell’essere è eternamente» – scrive il curatore della mostra Paolo Asti nel catalogo di sala edito come Vademecum del Giornale dell’Arte. Quale migliore location per opere come «Dialogo», «Pentagono con quadrato», «Rosso sospeso» e altre ancora in cui il marmo statuario di Carrara e quello di Thassos, si uniscono, nella ricerca di Rocchi, con ferro, acciaio, resine e led colorati. Nell’opera di Rocchi si realizza così un manufatto che è un’espressione frutto di una progettualità complessa in cui si manifesta il presente e si guarda al futuro, al divenire appunto, in una dimensione che, grazie all’ arte, crea una relazione tra uomo (essere appunto) e società, senza alcuna pre codificazione, così da stupirci fin dal primo sguardo –conclude Asti, facendo riferimento all’abbinamento tra il luogo e le opere di Rocchi.

“Heidegger e poi Ernst Jünger, in conversazione tra di loro, individuavano nella luce l’elemento scatenante la verità, che è nel suo etimo greco “la svelata”, la luce in grado di togliere il velo, o di sfoltire il buio del bosco e di creare radure dove l’essere finalmente può numinosamente apparire. Mi pare questo il merito più grande di Roberto Rocchi le cui installazioni sono macchine perfette dello svelamento che è poetico oltre che plastico; specie quando potrebbero riferirsi all’arte programmata, per il rigore e l’essenzialità delle forme, acquistano una inattesa forza lirica, talvolta drammatica, in alcune affiora una vena perfino surrealista, in altre una tensione tellurica, grazie alla luce che sapientemente le irrora e ne esalta i contorni. “C’è una crepa in ogni cosa, e da lì entra la luce” è uno dei versi indimenticabili del poeta e folksinger Leonard Cohen, che potrebbe circoscrivere le sculture di Rocchi in cui non è chiaro se la luce venga assorbita all’interno oppure da esso promani, scaturisca in forza di un qualche principio regolatore.  D’altro canto la partita che si gioca non è solo quella del contrasto buio/chiaro, semmai la più sfidante è quella tra pesantezza e leggerezza, tra superficie levigata e terrosa, tra movimento e stasi, in cerca del perfetto equilibrio da cui traluce la bellezza.”-  scrive nel suo testo critico Angelo Crespi.